Quando ci scopriamo tormentati da certe caratteristiche altrui, è solo perché siamo entrati in contatto con qualcosa che appartiene a noi stessi.
Noi possiamo scrutarci fin nei minimi dettagli prendendo nota di ciò che osserviamo negli altri.
La proiezione è il nostro meccanismo automatico di difesa: invece di riconoscere in noi le cose che meno ci piacciono, le proiettiamo su qualcun altro (madre, padre, figli, amici, personaggio pubblico…).
Le persone su cui proiettiamo detengono porzioni della nostra oscurità negata, nonché della luce che non abbiamo ancora rivendicato.
Se riconosciamo il fenomeno, comprenderemo perché possiamo innamorarci all’istante di qualcuno e trovare assolutamente insopportabile qualcun altro.
Potremmo cogliere la nostra remissività in nostra madre, la nostra avidità in nostro padre, la nostra pigrizia nel partner, il nostro moralismo nei politici corrotti…
Sono le proiezioni che fanno sì che una persona sia giudicata in modo diverso da persone diverse.
Reagiamo quando ci imbattiamo in qualcuno che riflette l’immagine di ciò che non vorremmo essere.
Quando giudichiamo il nostro prossimo, non ci passa neppure per la mente che in realtà stiamo parlando di noi stessi.
Ma una volta compreso il processo che ci spinge a concentrarci su determinati aspetti, possiamo incominciare a districare la matassa e fare un distinguo tra le nostre percezioni e l’abitudine a sputare sentenze sul prossimo.
Riconoscere le proprie proiezioni è un atto coraggioso ma anche un gesto di grande umiltà dal quale dobbiamo passare se vogliamo trovare la pace.
Ammettere le proiezioni ci obbliga a riconoscere che siamo perfettamente in grado di fare tutto ciò che detestiamo nel nostro prossimo, anzi, spesso ci comportiamo nel medesimo modo.
Qualsiasi caratteristica, comportamento o emozione susciti il più indignato rifiuto, alberga sicuramente da qualche parte nella profondità nella nostra psiche. Potrà anche manifestarsi in modo assolutamente diverso, ma la forza che ispira un certo comportamento abituale sarà in pratica la medesima.
Talvolta identificare questa forza dominante può costituire una sfida impegnativa perché potremmo manifestare un comportamento diverso da quello della persona su cui stiamo proiettando, ma noi attraiamo nella nostra vita persone e incidenti che possono aiutarci a riconoscere e guarire l’aspetto che stiamo negando.
Ken Wilber, celebre filosofo e psicologo, ha fatto un distinguo: se una persona nel nostro ambiente “ci informa”, con ogni probabilità non stiamo proiettando; se invece “ci turba”, cioè se diventa immediatamente oggetto del nostro giudizio, e ci sentiamo coinvolti, è assai probabile che siamo vittime delle nostre proiezioni.
Finché non recuperiamo tutti gli aspetti del nostro essere che abbiamo proiettato, quello che abbiamo rifiutato di accettare continuerà a riemergere nella nostra esistenza tramite il nostro comportamento.
Se non affrontiamo le problematiche della nostra ombra, le prime ad essere danneggiate sono le nostre relazioni, perché abbiamo eretto una muraglia difensiva, fatta di giudizio e condanna che ci acceca, impedendoci di vederle per ciò che sono realmente.
Se però lo vogliamo, possiamo riconoscere fin d’ora che ciò che ci colpisce emotivamente è un segnale d’allarme, un indizio che ci mette sulle tracce della nostra ombra, un catalizzatore per la crescita grazie a cui abbiamo un’occasione di recuperare qualche aspetto nascosto di noi stessi.
Qualsiasi porzione d’ombra riusciamo ad abbracciare, ci consentirà di sperimentare più amore, compassione, pace e una sensazione di maggiore libertà.
Inoltre, le persone su cui stavamo proiettando subiscono un cambiamento perché le abbiamo liberate dal peso del nostro giudizio e vedendole per ciò che sono abbiamo fatto emergere una nuova realtà.
In sostanza, dobbiamo arrivare ad una condizione in cui possiamo svelare, riconoscere ed abbracciare qualsiasi caratteristica in modo da non dover più proiettare sugli altri gli aspetti del nostro essere che non sappiamo accettare; così facendo potremo guardare gli altri con la lente grandangolare della compassione, anziché quella deformante delle proiezioni.
Solo allora saremo liberi di amare noi stessi e gli altri.
Liberamente tratto da “The Shadow Effect” – Debbie Ford
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