Nelle nostre relazioni speciali tendiamo ad investire nell’altro una parte di noi che pensiamo non potrebbe esprimersi senza l’altro. Ad esempio un’emozione di sicurezza, o di dolcezza, o di passione, o di allegria. Queste emozioni sono nostre, ci appartengono, ma dato che è l’altro che ce le suscita, le attribuiamo all’altro, come se fosse l’altro a possederle. Diremo quindi che ci dà sicurezza, che è dolce, che ha passione, che è allegro.
Ecco quindi che quando e se dovessimo separarci dall’altro, ci sentiremmo privati di una parte di noi; quella parte che abbiamo proiettato sull’altro. Riappropriarci di quanto ci appartiene è quello che definiamo “elaborazione del lutto”.
Ma ritengo ci sia un altro aspetto importante da prendere in considerazione: nel mondo degli opposti nel quale viviamo, dove la luce non può vivere senza il buio, noi andiamo all’amore per fuggire dall’odio; andiamo alla sicurezza per fuggire dall’insicurezza… ma entrambi gli opposti sono in noi.
Ne deriva che, per esempio, se per fuggire da uno stato di insicurezza, abbiamo illusoriamente attribuito ad una persona la responsabilità di darci sicurezza, e questa persona ci delude, non solo piomberemo nell’emozione opposta, l’insicurezza e la paura, ma anche negli opposti di tutto quanto avevamo illusoriamente investito: amore/rancore, benessere/malessere, gioia/tristezza…
Per superare queste situazioni di dolore vuol dire fare un lavoro serio su di noi che ci permetta di conoscere i bisogni che proiettiamo sugli altri e, continuando nella ricerca interiore, porci al di sopra degli opposti.