All’inizio di una relazione di counseling chiedo sempre, e aiuto a definire, qual è il motivo per cui la persona ha chiesto il mio aiuto e cosa dovrebbe raggiungere, o cosa dovrebbe succedere, affinché possa dire di essere felice. Sembrerà strano ma nella maggior parte dei casi, la risposta è confusa; la persona può non capire perché sta male o attribuire la colpa a cose esterne a sé. Il problema è sempre prima di tutto dentro di noi e, se disconosciuto, continuerà a generare instabilità, stato di conflitto, nevrosi.
Spesso le persone mi dicono il vero motivo per cui stanno male senza nemmeno accorgersene. La loro attenzione è concentrata su qualcos’altro e non riescono a vedere.
Io guardo, vedo, sento, ascolto, percepisco, rilevo, rifletto, propongo….faccio quello che la persona il quel momento non è in grado di fare. Ecco perché è così importante quello che nel counseling è chiamato “ascolto empatico”.
La paura ad esempio è una delle componenti più striscianti tra quelle che si nascondono sotto mentite spoglie. La rabbia che scoppia dentro, è paura. La depressione, può essere una paura covata a lungo. Un comportamento indifferente e apatico, può nascondere una paura non riconosciuta o soffocata. La paura dell’abbandono, del giudizio, della povertà, dell’insicurezza, della solitudine, della vecchiaia e spesso, della morte, è causa di molte nevrosi.
Un’altra “lente deformante” è costituita dalle convinzioni profonde che la persona non sa nemmeno di avere: “non merito niente”, “non valgo niente”, “se non mi sposo non sarò felice”, “non si può vivere da soli”, “bisogna avere l’approvazione”… e tante altre. Per non parlare poi dei tanti pregiudizi. Un evento potrebbe essere neutro o leggermente disturbante per una persona e totalmente distruttivo per un’altra. Non è l’evento in sé che genera il problema, ma è come la persona lo percepisce in funzione delle proprie convinzioni inconsce.
Ultimamente ho potuto anche sperimentare come problemi attribuiti a famiglia e lavoro, nascondessero invece una tensione spirituale; era il risveglio di nuove energie e di bisogni più profondi.
Ecco perché anche l’obiettivo da raggiungere non è sempre subito chiaramente definito: può essere confuso, sconnesso con la realtà, irrealizzabile, illusorio o nascosto sotto un falso obiettivo.
Quando la persona inizia ad avere una chiara visione della situazione, degli obiettivi da raggiungere, dello scopo e delle azioni da compiere, il procedere diventa veloce; anche se non è ancora alla “guarigione”, la persona inizia a sorridere, si sente più leggera, è motivata e pian piano emergono le qualità e le risorse che erano state inibite.
Sempre di più capisco che conoscere noi stessi dovrebbe essere la nostra priorità.
Esperienze di counseling – Luisa Schiona